Status del progetto
100%
Data di partenza
12.2014
Durata
18 mesi
Valore del contributo 198.004€
€ 198.004
Un tesoro unico da riportare alla luce
Un sistema tecnologico che permetta di fruire dei beni artistici anche a persone con disabilità e bambini all’interno di percorsi laboratoriali ed immersivi
Status del progetto
100%
Data di partenza
12.2014
Durata
18 mesi
Valore del contributo 198.004€
€ 198.004
Il nostro partner
L’Ente morale, Istituto Suor Orsola Benincasa, ha la sua sede storica nella cittadella monastica che si dispiega alle pendici del monte Sant’Elmo e domina l’intera città e il golfo di Napoli. Il complesso monumentale ha origine dalla Congregazione, fondata in questo luogo nel 1582 da Suor Orsola Benincasa, da cui l’Istituto prende il nome.
Area di intervento - bene invisibile da valorizzare
Nell’antico convento, che ricopre una superficie di 33.000 mq su cui sorgono due chiese, chiostri e giardini pensili risalenti al XVI e XVII secolo, negli anni Cinquanta, fu allestito il Museo Pagliara per conservare una parte della collezione di Rocco Pagliara, eclettico personaggio della Napoli ottocentesca. Il Museo, che conserva capolavori di importanti artisti come El Greco, Bernardo Cavallino, Corot, De Mura, Scoppetta, è da anni chiuso al pubblico. Il progetto vuole riportare alla luce questa importante collezione avviando un articolato programma di valorizzazione delle opere che, dopo un necessario passaggio attraverso le mani di esperti dell’antico mestiere del restauro, possano essere nuovamente e in miglior modo fruite dal pubblico anche grazie al supporto delle tecnologie digitali.
Descrizione e obiettivi del progetto
Il progetto intende realizzare un sistema tecnologico che permetta di fruire dei beni artistici anche a persone con disabilità e bambini all’interno di percorsi laboratoriali ed immersivi ed intende, altresì, sviluppare percorsi integrati che rafforzino l’offerta museale della cittadella monastica. Altro obiettivo del progetto è quello di sviluppare procedure di restauro dei beni che sappiano coniugare tecniche artigianali con le più innovative tecnologie per la digitalizzazione 3d, la prototipazione rapida e la fresatura tridimensionale.
Utilizzo innovativo delle tecnologie
Il progetto Arte in Luce oltre a prevedere la realizzazione di una piattaforma tecnologica per la fruizione dei beni artistici mediante dispositivi mobili e impianti per la realtà aumentata, farà ricorso, per evolvere le procedure di restauro, a diversi scanner tridimensionali, a frese in 3D, a visori tridimensionali e a proiettori a diversa intensità per proiezioni stereoscopiche e videomapping.
Per saperne di più:
http://www.unisob.na.it/
L'Istituto Suor Orsola Benincasa ha la sua sede storica nella cittadella monastica arroccata alle pendici del monte Sant'Elmo, affacciata sulla città e sul golfo di Napoli in una posizione che domina in modo inaspettato un panorama magnifico.
Il luogo è quello che era stato scelto nel 1582 da una suora, della quale l'Istituto porta il nome, che decise di ritirarsi a vivere con la sua famiglia seguendo un ritmo di vita monastico.
Il ritiro di Suor Orsola Benincasa venne trasformato nel tempo in una Congregazione semireligiosa istituzionalizzata alla quale fu in seguito affiancato un monastero di rigida clausura.
La vita di queste due comunità religiose e l'amministrazione delle monache è finita nel 1862 quando, all'indomani dell'unificazione nazionale e in seguito alle leggi sulla soppressione dei monasteri, iniziò la trasformazione in un Ritiro laico ed educativo che venne riconosciuto con un decreto regio del 14 agosto 1870.
Nel 1891 giunse, come ispettrice nominata dalla regina Margherita, Adelaide del Balzo Pignatelli principessa di Strongoli, che era stata la sua dama di corte e si era dedicata con passione alle opere di beneficenza e allo studio della pedagogia. In soli dieci anni ella seppe trasformare questo piccolo educandato in un Istituto con un complesso progetto educativo che aveva lo scopo di fare evolvere l'educazione femminile in modo moderno, seguendo le allieve dall'infanzia alla formazione superiore. Nel 1894 le scuole elementari dell'Istituto ottenevano il pareggiamento con quelle statali e l'anno successivo iniziarono i corsi del Magistero che, con il R.D. del 15 maggio 1901, fu il primo in Italia ad essere pareggiato come università. Alle allieve venivano insegnate, seguendo un percorso innovativo, discipline non solo umanistiche ma anche scientifiche, artistiche e tecniche che le preparassero ad un consapevole inserimento nella società contemporanea.
Accanto alla principessa lavorò Maria Antonietta Pagliara, una pedagogista che si dedicò con passione al suo ruolo di direttrice arrivando a donare all'Istituto, nel 1947, la raffinata collezione del fratello Rocco: un inestimabile patrimonio di quadri, stampe, oggetti d'arte e documenti che testimoniano uno spaccato importante della vita culturale italiana di fine Ottocento e che è stato riunito nell'Archivio e nella Fondazione a lui intitolata.
Nell'organizzazione dei corsi del Magistero la Pignatelli si avvalse in pieno dell'autonomia concessale dallo Statuto che, approvato con R.D. del 15 maggio 1898, era stato modificato il 10 luglio 1901: veniva autorizzata la creazione di un curricolo scolastico e universitario integrale, si cambiava la denominazione da "Ritiro" a "Istituto" e si istituiva una Commissione Amministrativa di cinque membri (presidente, direttrice e tre esperti di nomina ministeriale). Una norma transitoria stabiliva però che il governo del nuovo ente sarebbe rimasto nelle mani uniche della principessa fino a che lei avesse confermato l'impegno da lei assunto il 20 aprile 1901 di "sovvenire l'Istituto con i suoi beni personali e con la sua opera in caso di bisogno".
Questo le consentì di avviare un sistema di incarichi annuali che portò nel corpo docente del Magistero i migliori studiosi delle università napoletane e dei licei cittadini, oltre agli esponenti di prestigiose istituzioni culturali. Nell'organico dei docenti nel primo ventennio di attività figurano infatti i nomi dell'italianista Nicola Zingarelli, dello storico dell'arte Adolfo Venturi, dello storico Giuseppe De Blasiis, del vulcanologo e geologo Giuseppe Mercalli, di Marussia Bakunin Ogliarolo che insegnò Chimica e del filosofo Giovanni Gentile che insegnò Pedagogia generale al Magistero a partire dal 1902.
Questa gestione e l'autonomia della Governatrice misero al riparo l'Istituto anche dalle contaminazioni del periodo fascista: al di là dell'obbligatoria attivazione di alcuni insegnamenti come quello dell'Educazione razziale, infatti, il Suor Orsola rimase una zona franca della cultura italiana, nella quale gli echi della dittatura rimasero attutiti dalla sua tradizione di libertà. Furono gli anni in cui, anche dopo la morte della Pignatelli avvenuta nel 1932, arrivarono nella ex cittadella monastica personaggi del calibro di Adolfo Omodeo, Nicola Abbagnano, Antonio Aliotta ed Ernesto Pontieri.
Alla fine della guerra entrò nel Consiglio di Amministrazione un altro personaggio illustre della cultura italiana. Benedetto Croce, presente nelle scelte di indirizzo dell'Istituto fino alla morte nel 1952, inaugurò una salda consuetudine con la famiglia che continuò attraverso la presenza della moglie fino al 1964 e che è proseguita fino ai nostri giorni in cui l'Ente Morale, dal quale dipende l'intera complessa struttura che è oggi il Suor Orsola, è stato presieduto da Silvia Croce fino alla Sua scomparsa. Alla Direzione e Presidenza del Consiglio di amministrazione Le è succeduto Piero Craveri, professore emerito e già Preside della Facoltà di Lettere dell'Università.
Orsola nacque a Napoli tra il 1547 e il 1550, ultima figlia di Girolamo Benincasa, appartenente al ceto medio provinciale (proveniva da Cetara, piccolo borgo marinaro della Costiera Amalfitana), trasferitosi in città con la moglie e sei figli per prender parte all’ampliamento delle mura cittadine voluto dal Vicerè Pedro de Toledo. Come molte donne della sua condizione, non ricevette una vera e propria formazione culturale né spirituale, ma fu subito evidente la sua vocazione religiosa, che la portò a decidere di vivere secondo voti e regole monastiche pur restando in famiglia. Ben presto, la devozione si trasformò in estasi profetica e visionaria, evento non raro nel mondo devozionale femminile nella prima metà del Cinquecento, e la fama delle sue profezie si diffuse rapidamente sul territorio, al punto che l’Arcivescovo di Napoli autorizzò l’intera famiglia a ritirarsi in una piccola casa di campagna sulle pendici del monte Sant’Elmo e a divenire il centro di una piccola comunità religiosa laica e informale.
La popolarità della mistica crebbe sempre di più, tanto che il ricco abate spagnolo Gregorio Navarro si trasferì a vivere nei pressi della comunità, iniziando, su indicazione di Orsola, la costruzione della Chiesa dell’Immacolata, oggi cuore della Cittadella. Era il 1582 quando la santa donna affermò di avere messaggi profetici da comunicare al Pontefice (tra l’altro la sua famiglia vantava legami di parentela con la più grande mistica italiana, Caterina Benincasa, divenuta Santa Caterina da Siena). Fu condotta quindi a Roma, dove durante l’udienza accordatale da papa Gregorio XIII cadde in estasi per tre volte. Ma il clima religioso della Chiesa della Controriforma post-tridentina non consentiva più la crescita di figure carismatiche laiche e indipendenti dalla sua gestione, per questo motivo Orsola fu trattenuta a Roma per ben sette mesi, durante i quali fu sottoposta a osservazione e valutazione della sua ispirazione religiosa dal grande Inquisitore Filippo Neri (poi San Filippo Neri), che, pur non pronunciandosi definitivamente sull’autenticità della sua vocazione, alla fine la licenziò con espressioni di sostanziale ammirazione e approvazione.
L’elemento caratterizzante, che emerge dalle fonti documentarie sulla vita della comunità negli anni che seguirono il ritorno di Orsola a Napoli, è quello di uno straordinario legame tra la presenza della mistica e il popolamento di quest’area della città, la quale, stretta tra il circuito delle antiche mura angioine e la Certosa di San Martino, divenne a tutti gli effetti urbana e notevoli furono i contributi che nobili e popolani diedero alla costruzione della Cittadella Monastica. Quando i Padri Oratoriani, proprietari dell’area per lascito dell’Abate Navarro, decisero di vendere la proprietà, Suor Orsola ottenne da Lucrezia Pignatelli Duchessa di Sant’Agata il denaro per acquistarla, avviando un processo di incremento demografico e urbanistico-architettonico che durò ben oltre la sua morte, avvenuta il 20 ottobre del 1618. Segni del rapporto di continuo dialogo e quasi dipendenza che venne a instaurarsi tra la Madre e la sua città possono essere sinteticamente rappresentati da alcuni fatti, documentati dalle fonti d’archivio e dalla letteratura agiografica. Si tramanda, ad esempio, che nell’ultima fase della sua vita ella fu sottoposta a una pratica di esposizione periodica alla venerazione popolare, sebbene la malattia la consumasse e il desiderio di ritirarsi nella pura contemplazione fosse in lei sempre più forte; il 24 settembre del 1618, poco prima della sua morte, Orsola ricevette la visita degli Eletti dei Seggi cittadini (l’autorevole “Consiglio dei Nobili napoletani”), durante la quale essi le consegnarono la nomina di Patrona della Città, stipulando una sorta di contratto, nel quale si prevedeva il completamento della costruzione della Cittadella in cambio della protezione post-mortem (tale era la fiducia nella santità futura della Madre!); infine si narra che, durante i suoi funerali, la salma, esposta nella Chiesa dell’Immacolata, fu letteralmente presa d’assalto dalla popolazione per giorni e giorni, perché nessuno voleva privarsi dell’onore di toccare fisicamente il corpo santo.
La statua dell’Immacolata, conservata nella Chiesa del convento, negli anni successivi alla morte di Suor Orsola fu richiesta alle monache a furor di popolo, per essere portata in processione fino al centro della città in occasione di eventi catastrofici, come terremoti, eruzioni del Vesuvio o epidemie.
Tuttavia il processo di canonizzazione, avviato poco dopo la dipartita di Suor Orsola e incardinato sui nuovi binari predisposti da papa Urbano VIII, si arenò ben presto: formalmente è ancora in corso ed è fermo al 1786, quando furono proclamate le Virtù eroiche e Suor Orsola fu dichiarata Venerabile. Probabilmente l’eccessiva popolarità della mistica e il suo carattere sostanzialmente laico sconsigliarono di proseguire nell’enfasi della sua esperienza terrena.
Finalmente il Monastero fu terminato e nel 1669 le prime dodici monache e la loro priora
Maddalena Orsini (proveniente dal famoso convento di Trinità delle Monache) fecero il loro ingresso in Clausura: la Comunità informale di Oblate diveniva Comunità Religiosa di Monache Teatine.
Una collezione importante, ma da tempo dimenticata. L'Istituto Suor Orsole Benincasa di Napoli vuole riportarla alla luce e per farlo si affida alle nuove tecnologie.
Il Colle San'Elmo domina Napoli e il suo Golfo. Alle sue pendici la cittadella monastica fondata da Orsola Benincasa nel 1582, 33.000 mq su cui sorgono due chiese, chiostri e giardini pensili del XVI e XVII Secolo, dagli Anni '50 ospita il Museo Pagliara che conserva una parte della collezione di Rocco Pagliara, donata all’Istituto dalle sorelle.
La collezione ha rappresentato con il suo allestimento, per molti anni, l’interesse dell’Istituto, non solo per la conservazione del patrimonio, ma soprattutto per la sua valorizzazione attraverso l’insegnamento della storia dell’arte e della tradizione artigianale alle giovani allieve.
Da tempo il museo, però, è chiuso al pubblico, a causa della scarsità di finanziamenti per la manutenzione ordinaria e straordinaria e per interventi conservativi delle opere, perdendo così la sua primaria funzione educativa e didattica. Inoltre, la lunga chiusura ha determinato l’oblio dalla memoria artistica della città non solo della collezione, ma anche di Rocco Pagliara, eclettico personaggio della Napoli ottocentesca.
Così, capolavori di importanti artisti, come El Greco, Bernardo Cavallino, Corot, De Mura, Scoppetta, Morelli solo per citarne alcuni, sono oggi sottratti alla fruizione del pubblico, ormai ignaro dell’esistenza di tale patrimonio.
Per riportare alla luce questa importante collezione, così significativa per la storia e la tradizione napoletana, è necessario avviare la valorizzazione delle opere partendo dal loro recupero conservativo attraverso l’antico e complesso mestiere del restauro, un tempo svolto nelle botteghe artigiane, fatto di segreti, sperimentazioni e tecniche che si sono via via sempre più affinate.
Ancora oggi il restauro ha un ruolo importante e determinante per la conservazione del patrimonio artistico ed è per questo che va sostenuto e diffuso tra le giovani generazioni coniugando insieme le tecniche tradizionali e manuali con le più innovative tecnologie digitali, le quali offrono nuove possibilità di analisi ed intervento sui beni e, al contempo, li pongono nelle più complesse dinamiche di valorizzazione del Patrimonio Culturale.
Nel rispetto del suo antico ruolo formativo e di diffusione della cultura, l'Istituto Suor Orsola Benincasa attraverso il progetto Arte in luce vuole indagare e sviluppare, con metodo scientifico, i meccanismi ancora in luce che connettono in maniera intradisciplinare il fare artigiano e la produzione tecnologica nell’epoca del digitale.
Tutto ciò mediante dispositivi che includano, all’interno dei processi di attuazione della ricerca, forme di fruizione differenziate, rivolte anche alle persone con disabilità ed, in particolare, ai bambini.
L'Istituto propone, quindi, una nuova metodologia di approccio al Patrimonio Culturale inteso come bene attivo, nodo di forze intorno al quale articolare, sovrapponendole, discipline differenti quali la formazione e l’educazione al bello, l’artigianato e l’interna conoscenza dei materiali, le tecnologie digitali per il rilevo tridimensionale dei beni e la loro restituzione mediante dispositivi per la realtà aumentata, l’arte del pensare e dell’immaginare che ha in sé l’amore per le differenze misurate nei luoghi fantastici dei bambini.
Attraverso proiezioni di contenuti interattivi e tridimensionali in prossimità dei manufatti per mezzo di consolle dimotion capture, i visitatori, e in particolare le persone con disabilità e i bambini, saranno immersi in scenari digitali ricavati dai contesti e dalle ambientazioni delle opere, sentendosi inclusi nell’opera come dispersi tra i rivoli di significati e valori che essa rappresenta, e ancora sentirla nelle forme attraverso copie tattili realizzate da modelli digitali, mentre gli artigiani e i restauratori mostreranno le tecniche di realizzazione, le qualità dei materiali e l’importanza della cura.
Artigianato e tecnologie saranno colti in un raffinato processo di integrazione, indagando con il fare le possibilità di nuovi mestieri e forme di comunicazioni inclusive, l’arte e l’amore per il bello ne definiranno il passo.