La ventiduesima edizione del Rapporto Istat costituisce una riflessione documentata sulle trasformazioni che interessano economia e società italiana, integrando le informazioni prodotte dall'Istat con quelle prodotte dal Sistema statistico nazionale.
Oltre a illustrare gli effetti economici e sociali della crisi, quest'anno il Rapporto analizza anche le potenzialità del Paese e mette a fuoco le sfide più rilevanti che l'attendono.
Il Rapporto ci fornisce un quadro abbastanza chiaro della situazione italiana, dal punto di vista economico e sociale.
Quali sono le sue conclusioni?
In breve, risulta che l'Italia ha bisogno di acquisire maggiore consapevolezza dei propri punti di forza e di debolezza per intraprendere il percorso verso la ripresa. Di fatto, gli assi attorno ai quali sono state condotte le analisi sono la capacità competitiva, gli squilibri sociali e gli squilibri territoriali.
Nel corso dei primi mesi del 2014 sia il clima di fiducia dei consumatori, sia quello della manifattura hanno segnato un deciso rafforzamento tornando sui livelli di luglio 2011; in miglioramento è risultata anche la fiducia del comparto del commercio al dettaglio, mentre in quello delle costruzioni ha continuato a prevalere l'incertezza.
Gli indicatori di attività industriale mostrano segnali di moderato incremento, è proseguito, rispetto all'ultimo trimestre 2013, l'aumento del fatturato dell'industria e a marzo si sono osservati i primi segnali di ripresa dell'occupazione, che dopo la stagnazione in gennaio e la discesa in febbraio è tornata a crescere.
Un buon contributo a livello sociale nel nostro Paese è stato dato negli ultimi tempi dal settore non profit.
Nel Rapporto si analizza il contributo crescente del settore non profit nell’ambito dell’assistenza sociale e della sanità, in controtendenza a fronte delle difficoltà segnalate nel settore pubblico.
Il non profit potrebbe diventare un’opportunità in questi ambiti, se venissero superate alcune evidenti criticità e fragilità. In particolare, l’eterogeneità della distribuzione territoriale a sfavore del Mezzogiorno, già penalizzato dalle reti informali e dai servizi sociali, e l’eterogeneità nella dimensione delle istituzioni, che rivela una realtà parcellizzata con un'elevata frequenza di piccole unità e una forte concentrazione delle entrate su poche istituzioni (il 16% assorbe il 95% delle entrate).
Le istituzioni attive nell’ambito dell’assistenza sociale e della sanità sono, inoltre, frequentemente dipendenti da finanziamenti pubblici.
In un periodo di contrazione della spesa pubblica, come quello attuale, la sopravvivenza di molte realtà del non profit potrebbe essere a rischio se non vengono indirizzate politiche adeguate verso questo settore.
Il numero delle istituzioni non profit attive prevalentemente nella Sanità e nell’Assistenza sociale è cresciuto rispetto al 1999 del 13,4% nella sanità e del 29,5% nell’assistenza sociale, con una crescita più accentuata nel Sud (dove, però, i livelli erano precedentemente molto più bassi).
La distribuzione sul territorio delle istituzioni non profit attive nella sanità e nell'assistenza sociale continua ad essere molto eterogenea e il Mezzogiorno presenta le incidenze più basse rispetto alla popolazione residente: in media 49,8 istituzioni ogni 100 mila abitanti rispetto a 66,5 del Centro-Nord.