I giovani, lo studio e il lavoro. Perché l'Europa ha i tassi di disoccupazione tra i più elevati nel mondo? MacKinsey diffonde la relazione "Studio ergo Lavoro", all'interno del progetto internazionale "Education to Employment".
L'Unione Europea presenta oggi il tasso di disoccupazione giovanile più elevato rispetto a qualsiasi altra area del mondo (escludendo Nord Africa e Medio Oriente): nel 2013, circa un quarto dei giovani europei non più studenti non aveva un posto di lavoro.
In Italia, in particolare, ci troviamo di fronte a una vera e propria emergenza occupazionale: oltre un giovane su quattro sotto i 30 anni è disoccupato (la percentuale supera il 40% per i giovani sotto i 25 anni).
Come in molti altri paesi del mondo, però, in Italia a fronte di alti livelli di disoccupazione giovanile, vi è una seria difficoltà da parte delle imprese a rintracciare competenze e conoscenze adatte.
La crescita economica è, dunque, una condizione necessaria, ma non è sufficiente per migliorare l'occupazione giovanile.
Oggi, la transazione scuola-lavoro è ostacolata principalmente da tre fattori:
1. scarsità di profili e professionalità in alcuni ambiti e settori;
2. competenze non adeguate ai bisogni e alle necessità del sistema produttivo;
3. inadeguatezza dei canali di supporto alla ricerca del lavoro.
Dal 2007 al 2013 il tasso di disoccupazione giovanile in Italia è praticamente raddoppiato, passando dal 15% al 28%, con punte di oltre il 40% nella fascia fino ai 24 anni, senza distinzioni di area territoriale.
Ma, come anticipato, l'alto tasso di disoccupazione giovanile non è dovuto soltanto a elementi economici, quanto anche a elementi di tipo strutturale: carenza di preparazione nelle competenze richieste dalle imprese, tendenza a entrare tardi nel mercato del lavoro, scarsa mobilità geografica, inefficienza dei meccanismi di collocamento dei giovani sul mercato del lavoro, scarsa considerazione sociale nei confronti delle professioni ad alto tasso di manualità sono alcune delle cause del fenomeno, tutte risalenti almeno all'inizio degli anni '90, se si considera il fatto che tale indicatore per l'Italia è rimasto pressoché inalterato negli ultimi vent'anni, indipendentemente dal ciclo economico.
Quello che ci si auspica è, quindi, che vengano attuati interventi di tipo strutturale: la ripresa dell'economia, seppur determinante, da sola non consentirà di evitare il rischio di una "generazione perduta".
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