GRUPPO TIM

15.09.2014

Agenda Impegno e bullismo.

Intervista a Valerio Neri di Save the Children Italia


Fondazione Telecom Italia è al fianco di Telecom Italia e Associazione Libera nell'iniziativa Agenda dell'Impegno, per parlare e riflettere di mese in mese su temi di forte responsabilità sociale.
Settembre è il mese dedicato al tema del bullismo. Come viene vissuto? Quali sono le sue conseguenze più evidenti e quali quelle meno conosciute? Abbiamo fatto qualche domanda a Valerio Neri, Direttore Generale di Save the Children Italia. Di seguito la sua intervista.

 

Direttore Neri, il bullismo, è un fenomeno drammaticamente allarmante e una vera emergenza sociale, se, secondo recenti studi, è al primo posto nei casi di suicidio adolescenziale.
Come Direttore Generale di Save the Children, qual è la sua percezione della situazione attuale? Può indicarci qualche dato statistico, a livello nazionale?

«Il bullismo non è un fenomeno nuovo, ma sta cambiando con l’avvento di internet. Di recente c’è molta attenzione proprio per i casi che sono stati associati  al suicidio di alcuni adolescenti. Rispetto ad altri paesi europei, la situazione italiana è relativamente più calma, con l’11% degli adolescenti che dicono di aver subito bullismo rispetto ad una media del 20% in europa (EU kids online, dati 2010). Il fenomeno è però in crescita rispetto a indagini più recenti anche se su campioni più limitati. Bisogna però notare che questi dati testimoniano che, potenzialmente, in ogni classe con studenti/esse tra i 10 e i 17 anni 2 potrebbero essere o essere stati vittime. Non è un caso che in una nostra ricerca recente sia emerso che il 40% degli intervistati abbia ammesso di aver assistito ad atti di bullismo.»
 

Chi è il “bullo”, quali meccanismi scattano di prevaricazione e violenza nell’animo di un ragazzo? Come viene identificata la “vittima” e quanta importanza ha il ruolo del “branco”?
«Dobbiamo prima di tutto sottolineare le caratteristiche chiave del bullismo che sono intenzionalità, ripetitività, asimmetria di potere (la vittima è più debole o percepita come tale) e soprattutto il fatto che il bullismo ha una natura sociale: le azioni che il bullo mette in atto hanno l’obiettivo di ottenere un vantaggio, spesso in termini di popolarità, e non avverrebbero se non ci fossero altre persone oltre i protagonisti. Di solito il bullo è una persona che cerca di dominare chi gli sta intorno, è incapace di risolvere i problemi con gli altri in modi positivi ed ha una scarsa empatia. Da quanto detto si può capire l’importanza che il gruppo/branco può avere, aiutando a gestire le situazioni conflittuali o stimolando l’aggressività. La vittima viene identificata in base a una sua caratteristica (colore della pelle, aspetto fisico, …), che rivela un pregiudizio che funge da pretesto per l’azione. In realtà a caratterizzare la vittima sono la bassa autostima, le scarse competenze sociali e, come il bullo, l’incapacità di trovare soluzioni positive ai conflitti con gli altri. Quello che spesso succede è che mentre il bullo esternalizza i problemi con comportamenti aggressivi, la vittima li introietta, chiudendosi in se stessa.»


Spesso il bullismo viene perpetrato nel contesto scolastico. Come avviare una rete di prevenzione/protezione da parte dei docenti e del personale di supporto?
«Affinché una rete funzioni non deve avere buchi, per cui è necessario che tutti siano formati e si sentano responsabili, dal dirigente fino ai collaboratori scolastici. Si deve creare una cultura all’interno del sistema scolastico che coinvolga gli studenti, il cui ruolo è chiave: come dicevamo la natura del bullismo è sociale e la maggior parte dei problemi potrebbe essere prevenuta o risolta formando i ragazzi e le ragazze.»


Gli stessi compagni di classe e amici, che cosa potrebbero fare, per non restare semplici spettatori, finendo per assumere anche involontariamente il ruolo di complici?
«A differenza dei bulli, la maggior parte degli studenti si rende conto che c’è qualcosa di sbagliato, ma non interviene per paura “di fare la fine della vittima”. Temono l’isolamento. Quando parliamo di formare intendiamo aiutare gli studenti a definire delle strategie utili a difendere se stessi e gli altri, sapere chi sono le persone adulte di riferimento e in quali casi rivolgersi a loro. Un’altra paura è quella di essere considerati spie. Bisogna estirpare questi pregiudizi.»


Spesso il soggetto vittima di atti di bullismo non trova il coraggio di denunciare le violenze subite, non parlandone nemmeno in famiglia, che consiglio si sente di dare ai ragazzi per abbattere questa paura?
«Uno dei motivi per cui si diventa vittima è proprio l’incapacità di trovare soluzioni adeguate a questo problema. C’è un forte senso di vergogna e di inadeguatezza che spinge a chiudersi, la paura di deludere. Possiamo dire a chi è vittima che non è colpa sua, che deve parlare perché solo così potrà trovare una soluzione positiva, che non deve vergognarsi. Ma la soluzione deve arrivare dal sistema in cui è inserito, soprattutto a scuola.»


Un genitore, prima di supportare il proprio figlio con un aiuto psicologico professionale, come può affrontare consapevolmente questo problema e rappresentare un vero sostegno ed aiuto?
«Innanzitutto deve osservare i propri figli, altrimenti il rischio è che ci si accorga troppo tardi, quando l’aiuto è necessario. In famiglia ci deve essere un clima sereno e aperto, di ascolto. Uno dei timori più forti nelle vittime è che l’intervento dei genitori peggiori le cose, invece l’adulto dovrebbe dire ai propri figli che, se qualcosa non va, decideranno assieme cosa fare e come, rispettando i suoi bisogni e valorizzando le sue competenze. Un clima di fiducia è fondamentale. Dovrebbe poi confrontarsi con gli insegnanti, cercando di utilizzare quella rete di cui si parlava all’inizio.»


Può indicarci brevemente anche il fenomeno, anch’esso crescente, del cyberbullismo?
«È una nuova deriva del bullismo, che viene agito attraverso la rete coi vari strumenti e servizi che mette a disposizione (smartphone, tablet, computer). Alle caratteristiche di cui abbiamo già parlato (è ovvio che anche in questo caso l’aspetto sociale, o meglio social, è rilevante), si aggiungono quelle della rete: aumenta l’impatto e la visibilità, vengono a mancare confini temporali (può essere agito h24 tutti i giorni) e i confini spaziali (sei raggiungibile anche a casa). Le conseguenze possono essere ancora più gravi.»


A livello normativo e penale, quali sono le sanzioni previste per chi mette in atto episodi di bullismo, e le risulta sia previsto un inasprimento delle pene?
«Attualmente non c’è una legge specifica sul bullismo, ma diverse norme di legge nel codice civile e penale puniscono i comportamenti dei bulli, le cui azioni possono anche violare principi fondamentali della Costituzione italiana, tra cui l’uguaglianza formale e sostanziale delle persone, il libero accesso all’istruzione scolastica e il riconoscimento del diritto allo studio. A questi si aggiungono reati come percosse, lesioni o ingiurie, a titolo esemplificativo ma non esaustivo (legale.savethechildren.it). Inoltre è stata approvata dal Ministero dello Sviluppo Economico, l'8 gennaio 2014, la prima bozza del Codice di Autoregolamentazione per la prevenzione e il contrasto del fenomeno del Cyberbullismo, intervento ritenuto necessario anche a seguito dei gravi fatti di cronaca che hanno visto alcuni giovanissimi arrivare a gesti estremi dopo essere stati oggetto di insulti e diffamazioni su Internet.»
 

Per concludere, che cosa fa nello specifico “Save the Children”?
«Da anni Save the Children si occupa di tutte le problematiche connesse all’uso di internet, tra cui anche il cyberbullismo, fenomeno che studiamo e monitoriamo. Nell’ultimo progetto Safer Internet, ad esempio, co-finanziato dalla Commissione Europea e coordinato dal MIUR, abbiamo lavorato su circa 100 scuole in 18 regioni italiane formando gli insegnanti e i genitori sui rischi e le opportunità della rete (non dimentichiamo che le opportunità sono tante e prevengono usi scorretti, sviluppando le competenze digitali) e coinvolgendo i ragazzi e le ragazze in percorsi di formazione attraverso la peer-education, una metodologia di formazione e supporto tra pari. In ogni Regione i peer educator hanno ricevuto una formazione adeguata alla loro età (2° media, 12-13 anni) con il compito di progettare e realizzare attività di sensibilizzazione per tutti gli studenti della loro scuola con il supporto di tutor e dei docenti, stimolando così anche il dialogo tra studenti e insegnanti. Maggiori informazioni in merito si possono trovare all’indirizzo www.generazioniconnesse.it

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