GRUPPO TIM

31.03.2015

2 aprile. Giornata Mondiale della Consapevolezza dell’Autismo

Anche quest’anno, il 2 aprile, si celebra la Giornata Mondiale della Consapevolezza dell’Autismo, istituita dalle Nazioni Unite nel 2008 per favorire la sensibilizzazione nei confronti di questa patologia ancora  poco conosciuta e su cui non c'è sempre un’adeguata attenzione da parte dei servizi sociali ed assistenziali.


Anche quest’anno, il 2 aprile, si celebra la Giornata Mondiale della Consapevolezza dell’Autismo, istituita dalle Nazioni Unite nel 2008 per favorire la sensibilizzazione nei confronti di questa patologia ancora  poco conosciuta e su cui non c'è sempre un’adeguata attenzione da parte dei servizi sociali ed assistenziali.

Tante le iniziative, anche in Italia: una tra queste è il Convegno Internazionale che si terrà presso l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma e al quale prenderanno parte ricercatori, clinici, amministratori e genitori.

Per la maggior parte di noi comunicare è qualcosa di semplice, quasi banale: lo facciamo senza problemi tutti i giorni, con chi ci sta accanto e con chi è lontano.
Ma c’è chi, invece, nel semplice atto del comunicare incontra difficoltà insormontabili. È così, ad esempio, per le persone autistiche.

Cos'è l'Autismo
L’Autismo è un disturbo neuro-psichiatrico che interessa le funzioni cerebrali. Chi ne è affetto, ha difficoltà nell’integrazione socio-relazionale e della comunicazione con gli altri e tende fortemente ad isolarsi.

In Italia, colpisce 4 bambini ogni 1.000 nati (secondo gli ultimi dati dell’Istituto Superiore di Sanità) e sono circa 500.000 le famiglie che si ritrovano a dover gestire un caso di autismo, non sempre in presenza di condizioni ottimali: è ancora difficile, infatti, trovare centri di assistenza e di supporto in tutte le nostre città oppure non ci sono le possibilità economiche per accedere privatamente a terapie e strutture specializzate.

Di Autismo abbiamo parlato con due esperti italiani, Carlo Hanau, Direttore del Master in formazione a distanza sull’Autismo dell’Università di Modena e Reggio Emilia, e Alberto Zuliani, Presidente dell’Associazione Una Breccia nel Muro (con la quale stiamo portando avanti il progetto La tecnologia fa breccia).

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Professor Hanau, può farci un breve quadro della situazione italiana attuale?
«In Italia la prevalenza dei disturbi dello spettro autistico non viene calcolata a livello di intero Paese, ma nelle due Regioni che raccolgono questi dati da più tempo, Emilia Romagna e Piemonte, risulta una percentuale molto minore. In Piemonte nella fascia di età 6-10 anni, la prevalenza dei disturbi dello spettro autistico nel 2008 era pari a 3,7 bambini su mille, mentre in Emilia Romagna la percentuale sui bambini di 6 anni risultava 3,5 nel 2011. Ora è aumentata intorno al 4 per mille. Ovunque la prevalenza è in forte aumento.
Fra i maggior
enni la percentuale scende enormemente, anche perché molto spesso il passaggio all'età adulta coincide con la perdita della diagnosi, oltre che delle cure specificamente necessarie, venendo a mancare la continuità nei percorsi di presa in carico.
In Italia non esiste ancora un registro dei disturbi dello spettro autistico. L’ISS (Istituto Superiore di Sanità) sta cominciando a lavorare sui dati che provengono dalle Regioni più attente al fenomeno. Si deve comunque ammettere che fino al termine del secolo passato le diagnosi dei disturbi dello spettro autistico venivano fatte molto raramente e quasi mai per i bambini con sindrome di Asperger, ma soltanto per quelli più difficili come comportamento e con grave ritardo mentale. Per i maggiorenni è ormai impossibile fare diagnosi, poiché la manifestazione dei segni deve essere antecedente al compimento dei tre anni e nessuno si ricorda più come fossero tanti anni prima. Per questo motivo non ha molto senso cercare la prevalenza dei disturbi dello spettro autistico fra gli adulti di oggi.
Inoltre si deve considerare che i disturbi dello spettro autistico, che nei bambini di 8 anni degli USA sono aumentati del 15% all’anno negli ultimi anni, arrivano a 15 su mille nel 2010 e sono in aumento anche da noi, arrivando al 4 per mille nei bambini. Secondo una recentissima ricerca epidemiologica danese una parte maggioritaria dell’incremento (60%) è causata della maggiore attenzione diagnostica, ma resta sempre un 40% che si presume sia dovuta a un aumento reale della patologia, che non valeva per i bambini di una volta. Pertanto sarebbe troppo semplicistico applicare la percentuale di oggi alla popolazione totale di un Paese, anche ammettendo che di autismo non si guarisce e neppure si muore (sappiamo invece che l’autismo riduce la vita attesa).
Se in futuro si rispetterà il principio della continuità della presa in carico nell’arco della vita, si potrà avere un quadro più completo perché non si cancelleranno più le diagnosi di questo tipo nel passaggio dalla neuropsichiatria infantile alla psichiatria adulti. La garanzia migliore si potrebbe avere se i centri specializzati per l’autismo infantile potessero continuare a seguire i loro autistici anche nella maggiore età, così come succede nella maggior parte dei Paesi avanzati, dove la specializzazione sulla sindrome prevale su quella per età.»

L’impressione che molto spesso abbiamo è che questo argomento, nel nostro Paese, sia quasi un tabù. È davvero così?
«È molto difficile per un medico comunicare per la prima volta una diagnosi così grave e in Italia si cerca sempre di rimandare e di addolcire la diagnosi: per esempio una volta si faceva diagnosi di “tratti di autismo” (dizione inesistente nelle classificazioni di malattia ICD 10 dell’OMS e nel DSM IV americano). Oggi molti medici NPI (Neuropsichiatri Infantili) usano allo stesso scopo “sindrome di Asperger”, anche quando il quadro è manifestamente di autismo. In altri Paesi non si esita a comunicare diagnosi gravi come autismo e cancro, anche perché una comunicazione reticente può provocare serie conseguenze legali se il paziente si rivolge al magistrato per chiedere i danni. Una decina di anni fa la Regione Emilia Romagna aveva fatto una direttiva per la quale i medici dovevano offrire ai genitori destinatari della prima diagnosi la possibilità di farsi spiegare cosa poteva significare, per i problemi e per le possibili strategie di miglioramento. Purtroppo oggi tale direttiva viene spesso disattesa, anche perché si teme che i genitori possano pretendere quegli interventi intensivi e specialistici che dovrebbero essere effettuati il più precocemente possibile. Ci sono aziende sanitarie che impiegano un anno per fare la diagnosi ed in questo modo risparmiano un anno di interventi intensivi, ma sprecano gli anni migliori per intervenire efficacemente profittando della plasticità cerebrale dei piccolissimi.»

Ultimamente, si è parlato in particolare di una possibile correlazione tra i vaccini e l’autismo. Correlazione che è stata ufficialmente esclusa dall’Istituto Superiore di Sanità. Sappiamo che tanti genitori, in virtù di questo sospetto, hanno sottratto i propri bimbi alle vaccinazioni. Cosa ne pensa?
«Da mezzo secolo si incolpano i vaccini di molte patologie, fra le quali anche i disturbi dello spettro autistico, ma le indagini epidemiologiche svolte in tutto il mondo hanno falsificato questa affermazione, che si reggeva fondamentalmente su due diverse ipotesi: quella della nocività chimica della composizione del vaccino, che nel secolo scorso conteneva un sale organico di mercurio (thimerosal), e quella della infezione silente cronica nell’intestino provocata dal virus attenuato.
Ciò che la scienza medica deve constatare è la possibilità di un’infezione postvaccinica acuta, un’encefalite che, se non curata in tempo, può provocare danni permanenti al cervello, generando una condizione autistica. I casi di danni gravi postvaccinici sono molto inferiori a quelli che provocano le malattie virali che i vaccini combattono, e quindi è molto più conveniente sottoporre i bambini alle vaccinazioni che la sanità pubblica propone e talvolta impone.
La campagna contro i vaccini ha fatto molti proseliti ed ha provocato epidemie di morbillo in Europa (anche da noi, a Napoli, una decina di anni fa) e vi sono stati molti bambini morti per morbillo a fronte dei pochissimi danni gravi che le vaccinazioni provocano. La stessa vaccinazione vale per la parotite (orecchioni) e per la rosolia, che evita l’infezione della madre durante la gravidanza, quando il concepito rischia di diventare sordo e/o autistico, perché il virus della rosolia rovina le sue catene nervose che si vanno formando in quello stadio di crescita.
Infine gli studi su molti cervelli autistici hanno mostrato anomalie che non possono essere provocate da vaccinazioni, ma da errori nel meccanismo di formazione e consolidamento delle sinapsi, con una forte base genetica o meglio epigenetica.»


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Dott. Zuliani, quanto è importante comunicare i numeri dell’autismo e ricordare l’impatto che esso ha nella vita quotidiana delle famiglie in cui sono presenti bambini con tale patologia? Giornate come quella del 2 aprile, possono aiutare il sistema sanitario, sociale e assistenziale a migliorarsi e a migliorare i servizi offerti ai ragazzi autistici e alle loro famiglie?
«I numeri sull’autismo, almeno in Italia, non hanno fondamento in specifiche rilevazioni. La prevalenza del complesso dei disturbi dello spettro autistico è stimata, forse per difetto, nell’1%. Si tratta di oltre 5.000 bambini ogni anno. Se si aggiunge che il trattamento è lungo e costoso e che il mancato intervento precoce produce un costo elevatissimo per la collettività, si può senz’altro affermare che si tratta di un problema sociale al quale le istituzioni devono dare una risposta immediata ed efficace. Si è perso già troppo tempo. Il 2 aprile non deve esaurirsi con l’accendere una luce blu in qualche piazza; devono seguire in tutto l’anno azioni coerenti del Servizio sanitario nazionale, degli enti locali e delle scuole. I bambini autistici e le loro famiglie le attendono da troppo tempo.»

Parlando di integrazione nella società (dalla famiglia stessa alla scuola al mondo del lavoro), quali sono le difficoltà che ancora oggi questi ragazzi incontrano? Se dovesse dare dei consigli a una coppia di genitori che si trova oggi di fronte a una sfida simile, quali sarebbero?
«I bambini autistici, se non vengono trattati adeguatamente, incontrano molte difficoltà nella vita quotidiana; risulta problematico portarli al cinema o al parco o in un supermercato; a scuola sono spesso isolati perché gli insegnanti, anche quelli di sostegno, non sanno come agire con loro. Un trattamento precoce e intensivo secondo tecniche basate sull’evidenza può risolvere parecchi problemi. La famiglia e la scuola possono contribuire molto, assumendo atteggiamenti coerenti con quelli adottati nelle terapie.
Nella maggior parte dei casi si riesce a fare passi avanti veramente importanti. Ecco qualche consiglio:

  • avere al più presto una diagnosi certa da parte di una neuropsichiatria infantile ben attrezzata;
  • iniziare immediatamente un trattamento evidence based, essenzialmente cognitivo-comportamentale: più precoce è l’intervento, maggiori sono le probabilità di successo;
  • far valere i propri diritti: pretendere dal Sistema Sanitario Nazionale trattamenti basati sull’evidenza;
  • richiedere l’assegno di accompagnamento;
  • ottenere insegnanti di sostegno all’altezza del compito;
  • non scoraggiarsi: la strada è in salita ma il peso può essere molto più lieve.»


I progetti realizzati
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Per approfondire:
http://bit.ly/TI_Autismo_310315

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