GRUPPO TIM

14.03.2014

Agenda Impegno e rispetto del femminile. Intervista alla criminologa Margherita Carlini

Per Agenda Impegno di marzo, dedicata al tema "rispetto del femminile", abbiamo intervistato Margherita Carlini, psicologa e criminologa forense.

Fondazione Telecom Italia è al fianco di Telecom Italia e Associazione Libera nell’iniziativa Agenda Impegno, concepita per parlare e riflettere su temi di forte responsabilità.


L’iniziativa  punta a stimolare - attraverso il  proprio spazio sulla Rete -  interventi, contributi e discussioni su dodici temi mensili, di enorme impatto emozionale e partecipativo: dal rispetto della Costituzione Italiana al diritto al lavoro, dalla tutela del territorio nazionale alla lotta alla povertà al rispetto del femminile, , che costituisce il tema del mese di marzo.Su questo tema, abbiamo intervistato la Dott.ssa Margherita Carlini, psicologa e criminologa forense.

 


Dottoressa Carlini, Lei è un’affermata criminologa. Ci può raccontare la sua esperienza e come ha scelto di intraprendere questo percorso?

«Dopo la Laurea in Psicologia Clinica ho scelto di svolgere il tirocinio post laurea presso una Casa di Reclusione. Questa esperienza mi ha profondamente arricchita sia sul piano professionale che su quello personale e ha rafforzato in me la volontà di formarmi in maniera più specifica in ambito giuridico-criminologico. Ho quindi conseguito un Master di II livello in Criminologia Forense e frequentato vari corsi di Psicologia Giuridica ed Investigativa. Le opportunità lavorative e le applicazioni in ambiti specifici si sono sviluppate man mano che nel corso del tempo ho avuto la fortuna e l’opportunità di incontrare e collaborare con grandi professionisti del settore. Mi sono occupata di crimini seriali, di Cold Case e di femminicidi, collaborando ad indagini e svolgendo l'attività peritale. Il primo caso che ho seguito è stato proprio un femminicidio in un periodo, ormai lontano, nel quale questo termine non era ancora utilizzato. Da quell’esperienza, ho la  “mission” di essere a sostegno delle donne che provano ad uscire da relazioni maltrattanti tentando di riprendere in mano la loro vita.»

 

La violenza di genere è ormai un tema drammaticamente attuale. Non passa giorno che gli organi di stampa non riportino un tragico fatto inerente la sfera femminile e addirittura l’8 marzo sono stati perpetrati ben tre omicidi. Quali sono i dati nazionali di questo allarmante trend che non accenna a smettere, anzi sembra peggiorare sempre di più?

«È importante ricordare che con il termine “violenza di genere” si intendono tutti quegli atti di violenza lesivi dell’integrità fisica e morale di una donna. Vengono quindi comprese tutte le forme di violenza che possono produrre danni fisici, psicologici, sessuali ed economici, fino anche la morte. Per quanto riguarda il femminicidio i dati che vengono raccolti e divulgati dalle volontarie della Casa delle Donne di Bologna, tramite l’esame della stampa nazionale evidenziano un trend in aumento (80 donne nel 2005, 103 nel 2006, 105 nel 2007, 116 nel 2008, 123 nel 2009, 126 nel 2010, 123 nel 2011, 125 nel 2012 e 134 nel 2013). Va detto che questi numeri rappresentano sicuramente un dato sottostimato, non esistendoci ancora in Italia un Osservatorio Nazionale sulla Violenza Contro le Donne (come auspicato dall’ONU) il che rende difficile quantificare anche il fenomeno della violenza domestica che riguarda quotidianamente tutte le “sopravvissute”.  I dati raccontano di un fenomeno in crescita (soprattutto se si considera che gli omicidi volontari commessi nel nostro Paese sono in diminuzione) ma non di un fenomeno nuovo o di un’emergenza a cui è sufficiente rispondere con provvedimenti legislativi d’urgenza. I numeri nazionali sulla violenza domestica (dati ISTAT del 2011) riportano che una donna su tre è stata vittima, almeno una volta nella vita, della violenza di un uomo; sono circa 700.000 le donne che hanno subito violenza ripetuta dal proprio partner e nel 62,4% dei casi i figli hanno assistito ad almeno un episodio. Il fenomeno della violenza di genere, in particolar modo della violenza domestica, esiste da sempre e per molti  decenni è stato reso "ammissibile" dall’insieme delle norme giuridiche e dalla nostra cultura. Basti pensare che fino al 1996 chi violentava una donna commetteva un reato contro la pubblica morale e non a danno di una persona (e pensiamo a quante donne ancora oggi hanno difficoltà a verbalizzare e a denunciare le violenze sessuali consumate nel matrimonio) e che fino al 1981 nel nostro ordinamento erano presenti istituti come il “Delitto d’onore” o il “Matrimonio riparatore”. Per non parlare dei proverbi tramandati per decenni “Chi dice donna dice danno” o “Quando torni a casa la sera picchia tua moglie. Tu non sai perché ma lei sì” che rafforzavano ruoli di genere stereotipati e lesivi della dignità della donna. Stereotipi riscontrabili negli stili educativi, ancora spesso differenti per bambini e bambine, nella scelta dei giochi, del lavoro e della collaborazione alla vita domestica e familiare. Così come l’uso che viene fatto del corpo della donna , che spesso è utilizzato come merce in vendita annientando il valore della persona che in realtà quel corpo rappresenta; o l’uso sessista della nostra lingua che tanto fatica a riconoscere l’esistenza del femminile nell'indicazione delle professioni, delle cariche istituzionali e nella rappresentazione della collettività in genere. Tutto ciò contribuisce a paralizzare la donna in un ruolo che la società le impone e a ridurre la violenza domestica ad un fatto privato, di cui solo i “diretti interessati” dovrebbero occuparsi (“Tra moglie e marito non mettere il dito”, “I panni sporchi si lavano in casa”). È fondamentale, invece, far emergere il fenomeno, aiutare le donne a chiedere aiuto, affinché la violenza di genere diventi un problema di cui tutti, uomini e donne indistintamente, si facciano carico. È importante intervenire sull’educazione al rispetto dell’altro, insegnare ai bambini (e ai loro genitori) ad essere loro stessi indipendentemente dal genere a cui appartengono, così da renderli adulti liberi e rispettosi della libertà dell’altro/a.»

 

Ricordiamo a tutti che “1522” è il numero che il Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri ha messo a disposizione (dopo la legge sullo stalking 612bis) a sostegno di donne e uomini vittime di violenza intra ed extra familiare e di stalking.  
Lei è responsabile dello Sportello Anti Stalking interno al Centro Anti Violenza della Provincia di Ancona. Come sono formati gli operatori che rispondono alle chiamate?

«Il Centro Anti Violenza della Provincia di Ancona (gestito dall'Associazione "Donne & Giustizia"), fa parte della rete nazionale D.i.Re (Donne in Rete contro la violenza) e pertanto ha stabilito prassi organizzative e di accoglienza in accordo con le guide emanate dal gruppo. Le vittime che ci contattano tramite il 1522 o tramite il nostro numero verde (800 032810) effettuano un colloquio telefonico con le operatrici, che dopo una prima codifica del caso fissano un appuntamento con la donna. Al primo colloquio, le nostre operatrici, attuano un ascolto empatico e non giudicante che serve a stabilire con la donna una rapporto basato sulla fiducia. Terminato il primo incontro, su volontà della donna, viene fissato un secondo appuntamento con le professioniste (avvocate e psicologhe) affinché possano essere fornite informazioni sui propri diritti e sull'eventuale iter giudiziario da affrontare, oltre ad un primo sostegno psicologico e ad una prima valutazione del rischio. Troppo spesso  la donna non chiede aiuto perché ha molta difficoltà a riconoscersi come vittima, a riconoscere il pericolo a cui è esposta e per questo è fondamentale ripercorrere con lei la storia della violenza e della relazione. Altre volte è la mancanza di informazioni (che cosa comporta una separazione, la richiesta di Ammonimento o una denuncia) o la presenza di falsi convincimenti che nel tempo il maltrattante ha strutturato ("Sei una cattiva madre, se te ne vai ti porteranno via i bambini", "Sei solo una pazza") a terrorizzare la donna paralizzandola nella relazione; solo fornendo un adeguato sostegno si riesce a smontare queste erronee convinzioni e ad aiutare la donna a non autocolpevolizzarsi. L'attivazione delle professioniste implica  inoltre la strutturazione di un progetto di uscita dalla violenza all'interno del quale la donna ha un ruolo attivo, riconoscendo la violenza, i suoi bisogni, i suoi desideri e ridefinendo il proprio progetto di vita. A seconda del livello di emergenza del caso in questione si decide se proteggere la donna (ed i suoi figli) in una casa rifugio o se programmare ed accompagnarla in un percorso che le consenta di attivare le proprie risorse. Le nostre operatrici sono formate sulle tematiche inerenti la violenza di genere, sulle tecniche di ascolto empatico ed hanno tutte una formazione di base psico-sociale. Vale la pena ricordare che purtroppo i Centri Anti Violenza in Italia si reggono, quasi esclusivamente, sull'attività di volontariato svolta da professioniste specializzate.»

 

Quali sono gli altri strumenti a disposizione di una donna che decida di chiedere aiuto? Come accompagnare sia psicologicamente che concretamente una donna che finalmente decide di chiedere aiuto?

«Esistono già sul territorio nazionale, anche se in maniera disomogenea, esperienze importanti di "rete". Affinché la donna possa scegliere liberamente di uscire dalla relazione maltrattante, strutturando in sicurezza un nuovo progetto di vita per lei e per i suoi figli, è fondamentale che venga attivata tutta la rete territoriale costituita da quegli attori che a vario titolo entrano in contatto con la vittima di violenza. La sua sicurezza deve essere garantita da chi ne tutela la protezione (FFOO, Tribunali e Procure), da chi si occupa della presa in carico sociale (perché molto spesso la donna per autodeterminarsi ha bisogno di aiuti concreti come una casa o un sostegno economico per far mangiare lei e i suoi figli) da chi si prende cura della sua salute (servizi sanitari) e del suo benessere (Centri Anti Violenza). Ènecessario che questa organizzazione in rete dei servizi diventi al più presto una realtà nazionale strutturata, presente su tutto il territorio, costituita da professionisti qualificati ed altamente formati in tema di violenza di genere (così come auspicato nell'ultima Raccomandazione CEDAW del 2012).»

 

Da donna ad altre donne, che messaggio si sente di trasmettere perché il percorso di uscita dal proprio dramma sia consapevolmente affrontato e definitivamente risolto, senza sensi di colpa, rimorsi o ripensamenti?

«“Non sei sola. Lui non cambierà. Non tuteli i tuoi figli restando con lui. Non è MAI stata colpa tua”.Questo è quello che mi verrebbe da dire a tutte le donne che ancora si stanno chiedendo cosa fare ed anche a quelle che non hanno nemmeno iniziato, o forse hanno smesso di chiederselo. Il percorso che porta una donna in una relazione maltrattante è subdolo e silenzioso, non comincia mai con il rumore di uno schiaffo sferrato al primo appuntamento (ognuna di noi sarebbe in grado di non uscire una seconda volta con quell'uomo), ma i meccanismi della violenza domestica seguono sempre lo stesso iter. All'inizio è il controllo, le eccessive attenzioni, la gelosia, il possesso; la violenza arriva dopo, quando la manipolazione psicologica non è più sufficiente per tenere la donna "al proprio posto". L'uomo violento non ammette mai le sue colpe, anzi scarica le responsabilità sulla partner, la svaluta, la fa sentire in colpa ("Guarda che cosa mi hai fatto fare", "Mi porti all'esasperazione", " Non sei in grado di fare niente", "Come moglie non vali niente e nemmeno come madre"); la violenza fa paura e paralizza. Dopo la rabbia arrivano le scuse, le false promesse di cambiamento e la donna è profondamente confusa e spesso tende a sopportare ad investire nuovamente nella relazione, in quel progetto di vita che ha creduto di aver costruito con l'uomo che amava. Parlare, denunciare, serve a trovare una persona adeguatamente formata che aiuti la donna a risalire dal fondo di quella spirale di violenza a la affianchi in un cammino verso un nuovo progetto di vita. In questo percorso a ritroso la violenza viene verbalizzata e ricostruita, si destrutturano i falsi convincimenti, si aiuta a comprendere che i figli che assistono alla violenza sono essi stessi vittime e che  l'unico modo di tutelarli è non esporli più a quelle scene. Si fa comprendere che la violenza è SEMPRE UNA SCELTA DI CHI L'AGISCE, mai di chi la subisce. Non sei sola. Chiedi aiuto»

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